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Papa Francesco, i non credenti e la coscienza


di Lorenzo Banducci

Stavolta il Papa l’ha combinata grossa.
Ammetto di averlo pensato per un attimo mentre leggevo la lettera indirizzata da Papa Francesco al quotidiano “La Repubblica”. Consiglio a ciascuno di prendersi in mano il testo insieme alle due lettere antecedenti (7 luglio 2013 e 7 agosto 2013) di Eugenio Scalfari per condurre una riflessione personale autentica su temi che non si risolvono in poche righe ma che interrogano nel profondo la vita di ciascuno di noi. Vorrei restare, per quanto possibile in questo spazio, generico e vago senza entrare nello specifico delle questioni affrontate nei tre testi.

Innanzitutto torna a colpire lo stile innovativo del Pontefice che si rivolge in maniera diretta e indistinta a tutti. E’ lo specifico del vivere da cristiani che ci dovrebbe impegnare nella vita di tutti i giorni a comportarci in questa maniera. Uno specifico che però si ritrova troppo poco nei cristiani che popolano, ad esempio, il web e che preferiscono spesso approcci aggressivi nei confronti di chi manifesta semplicemente opinioni differenti. Non che dall'altra parte vi sia sempre comprensione e mano tesa, ma questo non giustifica la rigidità del cristiano che deve sempre cercare di mantenere un approccio dialogante e comprensivo.

Altro snodo chiave della lettera (più di quello già abbondantemente criticato dai tradizionalisti della "verità non assoluta") è il ruolo cruciale dato da Papa Francesco al primato della coscienza e alla sua piena libertà. Si tratta di un cambiamento totale nel legame, tutto da costruire, fra credenti e non credenti.
Quella coscienza definita dal Concilio Vaticano II in Gaudium et Spes come “il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità” viene ricollocata da Papa Bergoglio in una posizione di piena dignità e autonomia. Si può fare il bene e volere il bene di tutti anche se non si è a conoscenza del Magistero della Chiesa e anche se non si crede in Dio. Amare, fare il bene e fuggire il male sono tre principi che sono innati nel cuore dell’uomo guidato da coscienza retta. Ed è fra uomini che hanno tale desiderio nell'anima che il Papa immagina un’alleanza feconda portatrice di frutti nuovi per il Mondo intero oltre che per la Chiesa stessa, perché anche essa nel suo continuo divenire e mutare nei secoli possa crescere, farsi sempre più a immagine del Signore e portatrice del messaggio di Cristo in ogni tempo e luogo.

Le parole e i gesti del Papa, in questi primi mesi del suo pontificato, vanno tutti in questa direzione. Attendo nei prossimi giorni le risposte di autori che cercheranno di “spiegare” le parole di Bergoglio in un senso che sia legato alla tradizione. Il senso delle parole del Papa non va spiegato, perché non esprime concetti così eclatanti né tantomeno “eretici”. Ribadisce quello che la Chiesa ha detto cinquant’anni fa con il Concilio Vaticano II e che, nei fatti, è stato applicato a corrente alterna dai cristiani di vario ordine e grado in questi decenni. 

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