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Viaggio nel paese che non cresce mai

di Giacomo Poggiali

Venti anni di berlusconismo sembrano volati e buttati via, perché ancora non ci abbiamo capito niente, non abbiamo imparato, non siamo cresciuti: non siamo pronti a voltare pagina. E la crescita che si è bloccata non è di certo solo quella dei numerini del PIL. 


Era il 28 marzo del 1994, e mentre io beatamente mi godevo il mio biberon veniva eletto per la prima volta Silvio Berlusconi. Da allora, un intero paese è vissuto rinchiuso in una politica da bar in cui tutto era Berlusconi: e Berlusconi sì e Berlusconi no, e libero e in galera, e mafioso e perseguitato dalla giustizia, e NoCavday e ForzaCav. Un'ossessione, quella del cavaliere, che ci ha (vi ha, io guardavo i Pokémon e giocavo a nascondino!) inebetiti per vent'anni lasciandoci lo spazio di poter parlare, assemblea, dibattito, chiacchierata o consiglio comunale che fosse, solo di cosa facesse o non facesse Berlusconi. Tralasciamo poi qui una lezione semplicissima e piuttosto intuitiva della comunicazione politica, che dice che parlare (anche male) di continuo di un leader polarizza il tutto intorno a quella persona centralizzandolo nella discussione politica e creando una idea di politica che gira tutta intorno a quel personaggio, a suo vantaggio. Lezione ancora non appresa da tanti, vedi una lettera sull'Imu in campagna elettorale che rincorsa da tutti gli altri ricentralizza il cavaliere facendogli sbancare ancora una volta le urne contro ogni aspettativa. Lezione che i tanti con la testa "dura come le pine verdi" non hanno ancora capito, specie in una certa sinistra che oggi alterna le proprie mire e discussioni politiche esclusivamente tra il nemico esterno Berlusconi e quello interno Renzi, con crescita dei consensi per entrambi. Era la sera tra il 12 e il 13 novembre 2011 e qualcuno parlava di Italia liberata, mentre altri tiravano monetine credendo alla pia illusione che per cancellare venti anni di berlusconismo e la base di un intero partito personale bastasse lo spread. Illusione finita alla svelta e ripresa soltanto in questi giorni, quando alla notizia della sentenza Ruby si incrociavano le dita sperando di poter finalmente "gettare in cella Berlusconi e buttare via la chiave", come alcuni auspicavano, e festeggiavano poi. I più prudenti in quel fronte si sono prontamente esibiti in "no ragazzi aspettate: il primo grado se lo mangia a colazione", nell'altro fronte un susseguirsi monotono di "persecuzione, magistratura rossa". Persino quei pochi sostenitori nel centrosinistra della sacrosanta teoria del "Berlusconi va battuto politicamente" hanno tirato fuori tesi solo e soltanto politiche per giudicare la sentenza. Mario Adinolfi scriveva su Twitter immediatamente dopo la lettura della sentenza: "Se manderemo Berlusconi fuori dal Parlamento martirizzandolo per via giudiziaria, con le tv diventerà un Grillo all'ennesima potenza. Miopi." All'ex-onorevole, come a tanti altri vicini all'Adinolfi-pensiero sfugge un particolare: che così dicendo evidenziano un legame - nella realtà inesistente - tra chi la pensa come loro e la magistratura. Compito della magistratura è quello di portare l'imputato a processo quando ci sono indizi di reato, compito dei giudici emettere sentenze sulla base delle prove. Sentenze che possono essere ingiuste, esagerate (ancora Adinolfi e altri cominciano a tirare fuori i crimini più efferati come metro di paragone), viziate da errori di procedura o di forma o di valutazione. Per questo esistono secondo e terzo grado. "Manderemo fuori dal Parlamento" e "Miopi" si può dire ad una parte politica, non ad una magistratura che se porta a processo e evidenzia colpevolezza (ripeto, magari sbagliando) arriva fino in fondo. Le parole di Adinolfi &co. fanno sembrare la magistratura come un'ala esterna di una certa parte politica, confermando antichi sospetti dell'altra parte. Insomma, comunque sia stata commentata tale sentenza, il commento è stato sempre e solo politico, come se la magistratura fosse un partito di minoranza eletto alle elezioni.. Non c'è stato un commento specificamente giudiziario sulla sentenza o sul processo (ci credo, non se li è letti mica nessuno quegli atti!), che per quanto ci riguarda dovrebbe essere una cosa privatissima tra Stato ed imputato. Se qualcuno è indiziato di aver compiuto reati, l'interesse a accertare i fatti e punire quel reato è tutta dello Stato e di eventuali parte lese: nessun altro dovrebbe esultare di condanne ed assoluzioni che riguardano un privato cittadino, e non noi. In un paese maturo i media non dovrebbero dare tutta questa copertura al processo ad un privato cittadino (perché di tale si tratta agli occhi della giustizia e nel commento di una sentenza, senza valutazioni etico-politiche anche se è un personaggio pubblico) e noi non dovremmo prenderla come un risultato politico e con conseguenze politiche. Ma ancora dobbiamo crescere, bere tanti biberon e guardare tanti Pokémon... Il coro da stadio di giudizi politici (sempre BuSilvio vs ForzaSilvio) o etici (che riguardano però una moralità su cui, all'interno della legge, possiamo dare solo una valutazione personale) sulla sentenza è lo specchio attualissimo di questo paese che non vuole crescere, che si bea delle condanne di un politico nazionale pur di farlo fuori, che pensa la giustizia sempre e solo come strumento politico dove la politica fallisce. Ma la politica fallisce quando fallisce tutta una società, e la questione morale non riguarda assolutamente solo chi fa politica ma noi tutti. Si dice che la colpa di vent'anni di blocco sia di Berlusconi. Non è così. La colpa di un blocco non può essere solo di chi governa, ma di un intero paese che si fa abbindolare, si spezza o delega tutto, venendo meno al suo dovere di vegliare su sé stesso. La politica è specchio della società, la stiamo vivendo invece come piano sovraordinato a cui delegare tutto: sogni iniziative e responsabilità. Se la politica non va vuol dire che la società è alla deriva. Se un paese fallisce è colpa di tutto il paese. La colpa del governante viene meno nella misura in cui è stato votato e rivotato per fare determinate cose, ed il paese delega tutto al leader portando al venir meno delle proprie responsabilità, anche le faccende giudiziarie del leader diventano interne al dibattito politico ed elettorale in sé. Questo modello di disimpegno e facile successo, che nasce dalla società civile e che Berlusconi ha semplicemente interpretato, capito prima di tutti gli altri e se ne è fatto portavoce, è totalmente sbagliato e ha portato all'attuale deserto. È la pretesa di una leadership sbagliata che dice al popolo: voi litigate per decidere se il gran capo è un santo o un demonio, alla politica vera, quella per voi inarrivabile e tre metri sopra il cielo, ci pensiamo noi. Ma siccome la politica è cieca senza la società civile, ecco il fallimento. I polli siamo noi che non cresciamo mai, che dietro a Berlusconi si Berlusconi no facciamo ogni discorso e persino qualche consiglio comunale in cui dovrebbero occuparsi delle buche per la strada... Ci siamo cascati per 20 anni, e ancora non cresciamo, non capiamo che ridurre la politica alla legittimazione o delegittimazione verso la leadership è una cosa da matti, che c'è un panorama di impegno e questioni immenso dietro, e che non lo possiamo lasciare deserto. Quello che è morto in 20 anni di berlusconismo è la società civile, non tanto per scelte di governo quanto per poca voglia nostra di essere protagonisti, tanto "la politica fa schifo", e allora la facciano loro... Prendiamocene le responsabilità invece che delegare anche le colpe, processo comodo e che capisco, che riscuote successo (Grillo dà la colpa alla casta, Renzi ai vecchi, il centrosinistra a Berlusconi e il Pdl all'Europa e ai magistrati), ma che non ci fa crescere. Vedere esultanze immotivate (dall'estero ci guardano e ci vedono allo sbando), così come difese esagerate sempre politiche e mai giudiziarie mi fa molta tristezza, specie quando a scrivere e dire queste cose sono persone della mia età. Alla mia generazione: abbiamo 20-25 anni, qualcuno anche meno, dovremmo essere immuni da questa roba, relegarla al passato e lasciare che se la sbrighino loro tra tribunali e urla in piazza. Noi dovremmo adesso riaffermare qualcosa, se qualche tizzone è rimasto sotto la cenere vuota delle facili passioni per la contrapposizione totale, che ha portato al crollo totale dell'affluenza alle urne e all'abbandono a sé stessa della società civile. Dovremmo riaffermare un impegno civile che non passa sempre e solo dal grande capo della situazione, che sa che farlo fuori non basta perchè se la società non cambia è già pronto il successivo capetto mediatico da mandare il pasto alle urne, e morto un Papa (o dimesso, per attualità) se ne fa un altro. Un impegno che passa da me in prima persona, che non dipende da cosa fanno a Roma o nei tribunali o nelle strutture elettive, ma da cosa faccio io per rendere questo posto un po' più bello di come l'ho trovato. Perché "non si può stare in un posto senza amarlo", come diceva mons.Bregantini da vescovo della Locride. Un impegno alla "I Care" di don Milani: nel caos totale o faccio la mia parte o crolla tutto. Impegniamoci per cambiare la società civile, per renderla più coesa, più acculturata, più solidale: la politica, suo specchio, cambierà di conseguenza trovando i giusti interpreti. Cresciamo, capiamo, smettiamo di fare i tifosi e cominciamo a sentirci cittadini, partecipi del tutto. Si delega una fetta del proprio potere col voto, non si possono delegare però anche l'impegno personale, le passioni, i sogni, le aspettative, le colpe che discendono dalla propria sovranità. Perché a portare avanti i tuoi sogni ci puoi pensare solo te, caro coetaneo, insieme agli altri. E i tuoi sogni e l'impegno che ci metterai nel perseguirli saranno la spinta propulsiva che farà l'Italia del domani. A te la scelta: o tra divano e computer a lamentarti sempre delle scelte di altri e a scrivere per i prossimi vent'anni "W Berlusconi" - "Berlusconi schifo" con questo nome o con quello del prossimo leader della lista, o col coltello tra i denti affamato di sogni a rifare l'Italia. Insomma, o sei te responsabile e motore del tuo paese o non lo è nessuno... Cresciamo!


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