Passa ai contenuti principali

Relazione di cura e fine vita. Spazio di dialogo fra credenti e non credenti



di Lorenzo Banducci

Lo scorso 17 settembre a Roma presso il Senato della Repubblica si è svolto un incontro organizzato da “Il Cortile dei Gentili”, fondazione che si occupa di coltivare il dialogo fra credenti e non credenti e seguita con attenzione dal Cardinal Ravasi e dal Pontificio Consiglio della Cultura,  avente come tema i principi e gli strumenti che si devono considerare alla base della relazione di cura fra medico e paziente. Nel corso dell’incontro sono state presentate delle linee guida e le proposte tramite un Rapporto dal titolo “Linee propositive per un diritto della relazione di cura e delle decisioni di fine vita”. Il rapporto è stato elaborato in due anni da giuristi cattolici e non e viene in questa forma offerto alla politica per far scaturire una riflessione e un dibattito su un tema tanto delicato.
In attesa di poterlo vedere pubblicato per intero diamo spazio sul blog a una sintesi del documento.
Ricordo che in Italia, ad oggi, non abbiamo una legislazione specifica in materia di testamento biologico.


Questa sintesi introduce il documento « Linee propositive sulla relazione di cura », elaborato dal Comitato Scientifico della Fondazione Cortile dei Gentili. Hanno partecipato attivamente ai lavori membri della Siaarti e della Sicp.

Ciascuno di noi, quando diventa paziente, da un lato ha diritti che vanno salvaguardati, dall’altro si trova affidato ad altri, ed in primis ad uno o più medici. Ciò può indurre ad impostare e quindi a leggere la relazione di cura alla stregua del classico rapporto dialettico fra libertà e autorità.

La relazione di cura – è questo l’asse portante del nostro documento – va vista e vissuta come un dialogo costante fra paziente e medico, nutrito da flussi reciproci di informazioni e di valutazioni e rivolto alla medesima finalità. Ciò consente al medico di calibrare le cure in funzione dei caratteri non solo fisici del paziente e allo stesso paziente di far valere i suoi diritti non come delle aprioristiche ed ignare prese di posizione, ma come scelte consapevoli, maturate attraverso il dialogo.

È su questa premessa che il documento definisce e chiarisce i tre principi ai quali le cure devono ispirarsi: appropriatezza, proporzionalità e consensualità.

La cura è appropriata non solo quando soddisfa i parametri di oggettiva validità scientifica, ma quando è in sintonia con il sentire del paziente rispetto al suo bene e riscuote cosi la sua fiducia, anche perché se ne sente coinvolto e rispettato.

La cura è proporzionale quando tiene conto insieme dei benefici e della sofferenza della persona curata, con la conseguenza che nasce per il medico il dovere di interromperla e rimodularla, ove risulti non proporzionata sotto l’uno o sotto l’altro profilo.

La cura è infine consensuale, perché consensuale è tutta la relazione di cura, un processo che deve portare alle decisioni terapeutiche in modo commisurato alle condizioni del paziente, alla sua capacità e disponibilità ad acquisire informazioni, a valutare il proprio stato e ad assumere la responsabilità del proprio futuro. In questa chiave la sua autodeterminazione va sempre sostenuta, anche quando si esprime nella scelta di affidarsi puramente e semplicemente al medico. E nel caso in cui le sue condizioni fisiche e psichiche non gli consentono di prendere parte attiva alle decisioni terapeutiche, il medico farà comunque il possibile per osservare i principi di appropriatezza e di proporzionalità e sarà sempre pronto a riconsiderare la propria valutazione per rispettare la volontà del malato.

Quali sono i principali strumenti per attuare questi principi? Il primo, quando la cura non sia esaurita da singoli atti medici o da trattamenti di modesto rilievo, è la pianificazione condivisa delle cure. Essa consente al medico e al paziente di prevedere situazioni probabili o possibili ed ipotesi di trattamento preferite o rifiutate. Garantisce quindi una proiezione al futuro del consenso, che si estende, se il paziente lo richiede, anche oltre una sua perdita di capacità.

Il secondo strumento è il fiduciario, cioè la persona dalla quale il paziente può decidere sia di essere affiancato, sia, in caso di incapacità, di essere rappresentato e tutelato nella relazione di cura. Il fiduciario è essenziale ove sia utilizzato il terzo strumento, le dichiarazioni anticipate del paziente.

Esse sono volte al rispetto dell’identità dello stesso paziente e servono a realizzare, nei limiti del possibile, una eguaglianza di trattamento tra persone attualmente capaci e persone che non lo sono più. Naturalmente non vanno considerate un onere per la persona, che deve essere libera di giovarsene o meno in base alle proprie esigenze e convinzioni. Quando esse vi siano, rivolte come sono a situazioni ipotetiche future, rimarranno affidate alle collaborazione fra il medico e il fiduciario, che dovranno attualizzarle e concretizzarle in vista del miglior rispetto delle preferenze e della volontà del dichiarante nella situazione data, in una sorta di perdurante continuazione della relazione terapeutica.

Nella relazione terapeutica va anche collocato il rifiuto di cure, che è un risvolto necessario della loro consensualità e della loro stessa appropriatezza, in relazione al beneficio che ne percepisce il paziente. Questi, se capace, non può non esserne l’ultimo interprete, anche là dove si tratti di cessare la lotta per il prolungamento della sopravvivenza, interrompendo i trattamenti in atto e rimodulando le cure in senso palliativo. Nei casi di legittimo rifiuto o di non proporzionalità delle cure – sottolinea il documento – l’astensione e l’interruzione sono condotte che adempiono a un dovere deontologico e come tali devono essere sottratte a sanzione, sia civile che penale. Per converso, ove l’interruzione esiga l’intervento del medico e possano insorgere in ciò i presupposti per l’obiezione di coscienza, il medico potrà legittimamente sottrarsi all’intervento, nel rispetto tuttavia del dovere deontologico di assicurare altrimenti la continuità di assistenza.

Commenti

Anonimo ha detto…
A questo link: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-sorpresa-ancheun-cardinale-stacca-la-spina-13858.htm vi sono delle osservazioni critiche al documento, in particolare sull'autodeterminazione, concetto forse addirittura fuorviante, legato com'è ad una concezione volontaristica, che risulta difficilmente conciliabile con gli altri criteri di appropriatezza e proporzionalità, e sul fiduciario, che dovrebbe riattualizzare una volontà ipotetica (vincolante o no, non si capisce).

Michele
Nipoti di Maritain ha detto…
Non so dove abbia trovato il documento per intero perchè in rete non c'è. Mi farebbe molto piacere verificare il tutto prima di rispondere, Per ora mi attengo alla sintesi pubblicata.

Post popolari in questo blog

Curzio Nitoglia, un cattivo maestro

di Andrea Virga Questo articolo, come quello su Don Gallo 1 , non avrebbe reale ragione d’essere. Anche qui, le gravi affermazioni dottrinali del sacerdote in questione non meriterebbero più d’uno sberleffo, vista la loro palese incompatibilità con la retta dottrina. E tuttavia, anche qui è il caso di un prete consacrato – e stavolta tuttora vivente – che attira proseliti, specie fra i giovani, grazie alle sue opinioni estremiste ed ereticali, con il risultato di diffondere in lungo e in largo i suoi errori. Per questo, ritengo che sia il caso di dedicare una mezz’oretta a mettere in guardia i meno provveduti, che magari preferiscono internet ad un buon padre spirituale, rispetto a questo personaggio: Don Curzio Nitoglia. Il paragone con Don Gallo, però, non riesca troppo offensivo al defunto sacerdote genovese, che aveva almeno il merito di essere molto attivo in ambito sociale e di non aver mai lasciato la Chiesa (cosa non troppo difficile, visto il permissivismo dei suoi super

Il noviziato Agesci: tempo e idea tra scoutismo e Chiesa

C’è un momento strano nel cammino scout Agesci ed è quello del noviziato: sì, il nome riprende proprio il linguaggio monastico; sì, l’ispirazione è proprio quella; sì, è un periodo di introduzione e studio.  Si tratta del primo momento nella branca rover e scolte, i più grandi nel nostro scoutismo: dura un anno. Di noviziato in Agesci si parla  –  e si sparla  –  in continuazione, non c’è un tema altrettanto trattato e maltrattato, anche nella prassi.È speciale e irrinunciabile e può essere una fonte di riflessione importante anche al di fuori dell’associazione. Cercherò ora di dare a questa riflessione un taglio ecclesiale, per plasmare un avvio di confronto su temi scoutisticamente ed ecclesialmente poco trattati. Il noviziato è un tempo e come tutti i tempi è prezioso. Lo è il nostro, figuriamoci quello dei ragazzi. Con un po’ di ironia, potremmo dire che l’importanza del tempo l’ha capita anche il Papa: in Evangelii Gaudium Francesco scrive che «il tempo è superiore allo

Lettera a frate Raimondo da Capua: l'esecuzione di un condannato a morte

È una lettera al frate che fu direttore spirituale di Caterina e che poi divenne suo seguace. Vi si racconta in modo appassionato e sconvolgente l’assistenza a un condannato a morte, Nicolò di Toldo,giustiziato a Siena per aver partecipato a un movimento di rivolta nel 1375 circa. Il condannato, travolto dall’entusiasmo mistico di Caterina, finisce con l’accettare con letizia la morte come momento di congiunzione – anzi, di nozze – con la divinità. Il consueto motivo devoto del sangue di Cristo si fonde qui con quello del sangue della decapitazione. Il sangue del giustiziato alla fine si riversa sul corpo della santa: nella fusione del sangue di Nicolò con quello di Caterina e con quello di Gesù si realizza l’unità mistica dell’uomo con Dio. Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce. A voi, dilettissimo e carissimo padre e figliulo mio caro in Cristo Gesù. Io Caterina, serva e schiava de' servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel pretioso sangue del Figliuolo di