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Esempi


di Lorenzo Banducci

 

Non è facile parlare di Brittany Maynard e della sua storia, ma è evidente che la sua scelta di porre fine, tramite il suicidio assistito, alla propria vita prima che la malattia, che l’aveva colpita, facesse il proprio corso ci lascia tutti quanto mai in riflessivo silenzio.

Inutile negare come la stragrande maggioranza delle persone che ci circondano si dica quanto mai attenta alle questioni sollevate dalla ragazza americana che ha scelto di morire prima che fosse giunto il suo tempo.

Di fronte a storie come questa è normale che ciascuno di noi si senta molto piccolo e molto spiazzato. Cosa farei io al posto di Brittany? E’ davvero giusto essere costretti a portare avanti fino in fondo un’esistenza che ci condurrà sicuramente a morire con sofferenza? E’ quella di Brittany una morte con dignità? Cosa si intende per dignità?

Difficile rispondere con semplicità a questi interrogativi, ma in questa vicenda mi hanno colpito due commenti. Il primo quello del mons. Carrasco de Paula presidente del Pontificio Consiglio per la Vita che ha detto: “Non giudichiamo le persone”, ma “la dignità è un’altra cosa che mettere fine alla propria vita”. Il secondo quello di Salvino Leone medico ginecologo, bioeticista, docente di Teologia morale presso la Facoltà Teologica di Sicilia e presidente dell'Istituto di Studi bioetici "Salvatore Privitera" di Palermo che ha detto: “Nella dignità del morire includerei anche il rispetto (diverso dalla condivisione) per scelte così tragiche, senza giudizi affrettati e senza condanne, perché se qualcuno di noi si dovesse trovare malauguratamente nella stessa situazione, non so poi di fatto, anche in un orizzonte di fede cristiana, quale decisione prenderebbe”.

Due commenti molto equilibrati che mostrano una posizione della Chiesa sicuramente molto vicina al dramma umano raccontato in questa storia.

Da parte mia condivido il profondo rispetto per Brittany e per la propria vicenda, ma non posso considerare la sua storia da esempio. Scegliere di morire non è mai da considerarsi una vittoria, ma una sconfitta e una sconfitta per tutti. E’ una sconfitta per la società che non riesce a farsi carico della persona fragile e indifesa e a dare un senso compiuto anche alla parte conclusiva della sua esistenza. Attenzione. Io non sono fra coloro, amanti del complotto, che ritengono che dietro alla scelta di coloro che si fanno promotori del suicidio assistito o dell'eutanasia vi sia un’idea precisa di “società consumistica” che tende a ritenere oggetti di scarto questi malati che non hanno più niente da dare, ma solo, casomai, molto da ricevere perché impossibilitati in tutto. Penso veramente che dietro alla scelta di queste persone e di questi gruppi vi sia l’idea comunque di fare del bene, di dare un aiuto. Ecco perché non voglio smettere di dialogare con loro, di ragionare, di mediare se possibile.

Partiamo da idee differenti di persona, di futuro e di società, ma sono convinto che anche loro come me pensino che non esistano in generale vite “non degne” di essere vissute e che la scelta migliore, l’esempio vero, sia quello di mostrare che ogni parte della vita (comprese la sofferenza e la malattia) possano avere un senso.

Voglio concludere lasciando con un’altra storia, una di quelle che non passano sui grandi circuiti mediatici, perché ritenuta storia quasi folle: quella di Lauren Hill.

Lauren ha 18 anni è malata terminale di un tumore al cervello, ma ha anche una grande passione quella per il basket.

La Ncaa (la lega dei college americani) ha deciso di anticipare per lei la partita di apertura della stagione a sabato scorso. Per l'occasione ha pure spostato la partita nella vicina Xavier University dove c'è un'Arena più capiente. E infatti ad applaudire Lauren sono arrivati 10 mila spettatori, invece dei 100 che solitamente vanno a vedere St. Joseph (la squadra di Lauren) nel corso della stagione

Lauren, titolare dal primo minuto, ha segnato il primo canestro con un tocco da sotto. È stata sommersa dall'abbraccio delle compagne e anche delle avversarie. E dalla commovente standing ovation del pubblico venuto apposta per lei. Ancora più toccante è stato il suo discorso durante l'intervallo. "È incredibile che la mia vicenda abbia coinvolto emotivamente tante persone. Prima che il mio caso diventasse noto, non molti sapevano che cosa fosse la Dipg (la rara forma di tumore che si sviluppa all'interno della scatola cranica e di cui morirà Lauren). Adesso che lo sanno, possiamo cercare di sviluppare la ricerca per trovare una cura. Io non ci sarò più per beneficiarne, ma si potranno aiutare tanti altri ammalati come me. Per questo il vostro aiuto non dovrà finire con il termine di questa partita." Lauren ha trascorso gran parte del tempo in panchina per via della nausea provocata dalle medicine. Poi a un minuto dalla sirena è tornata sul parquet.

La lezione di Lauren pienamente educativa sta in quelle sue parole sopra citate. Pensare ancora agli altri prima che a noi stessi pur essendo nella totale sofferenza. Forse l’esempio vero è quello di Lauren, senza giudicare, come detto, la scelta di Brittany, ma una società che crede nel proprio futuro e che vuole sempre più diventare giusta e tendente alla perfezione forse dovrebbe maggiormente investire sulle persone come Lauren.

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