Passa ai contenuti principali

Morire è ritrovare Dio


di don Andrea Gallo

in “Il Sole 24 Ore” del 26 maggio 2013

Discorso pronunciato il 27 novembre 2008 per la morte del violoncellista Sergio Bonfanti.

Ancora giovane, fui invitato alla Scala di Milano. Che splendore, quale musica! Avvolto in
quell'atmosfera, per la prima volta mi venne da pensare: ma questo è un angolo del Paradiso! Angeli, arcangeli, cherubini, musica celestiale...

Lasciatemi immaginare l'accoglienza della morte di Sergio con questa musica celestiale.
Si racconta che gli uomini si lamentassero con Dio: «Hai dato le ali a tante creature e ti sei
dimenticato degli esseri umani!». «Ma no» disse Dio. «Alle creature umane ho donato la musica per poter volare, alzarsi, emozionarsi». Non so se mi riuscirà, dinanzi al silenzio della morte di Sergio, di meditare brevemente con voi.
La Chiesa primitiva definiva il vero uomo «colui che non ha paura della morte». Papa Giovanni disse alla fine: «Mi rallegro perché mi è stato detto: "Andremo nella dimora del Signore"». «Laudato si' mi' signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare.» Francesco nel Cantico delle Creature aggiunse quest'ultima strofa.
Nel momento in cui sparisce la fede (se uno ce l'ha), scompare la speranza e ogni intermediario, ogni comunicazione. Don Bosco, nella sua pedagogia, aveva inserito, ogni mese, l'esercizio della buona morte. «Resta, questa è la mia personalissima riflessione, soltanto un immenso amore misericordioso e profondo, che ci avvolge tutti, credenti e non credenti, tutti figli e figlie inondati da un incessante flusso dello spirito agapico dell'Amore universale».
Intanto, la morte di Sergio è tacere e riposarsi in pace. È emblematica la sequenza dei requiem che inizia la liturgia funebre; Dies irae, dies illa solve saeclum in favilla (il giorno dell'ira, quel giorno che dissolverà il mondo terreno in cenere). La morte è tornare alla terra nostra madre.
Nell'immagine dell'amore, Adamo vuol dire terra. Vi invito ad ascoltare sant'Agostino: «Quelli che ci hanno lasciato non sono assenti, sono invisibili, tengono i loro occhi pieni di gloria fissati nei nostri pieni di lacrime».
La morte, ci dicono i teologi, è trovarsi davanti al Giudizio. Ma quale Giudizio e di chi? Ci
troveremo davanti a chi ha già perdonato: l'Amore. I nostri cari defunti, se ci fermiamo un attimo, insegnano a tutti noi a continuare a vivere nell'amore degli uomini, e nell'amore alla vita, alla verità, alla libertà, all'uguaglianza universale.
Non è facile imparare a morire, non è facile obbedire fino alla morte e quindi fare obbedienza alla morte, non è facile fare di essa un dono d'amore per la famiglia, per gli amici. «Non c'è amore più grande di chi dà la vita per gli amici» ha detto Gesù la sera prima della Passione. Un'affermazione che è sempre piaciuta ai miei vecchi amici atei, anarchici.
Ma la morte resta un evento difficile, un evento doloroso. Qoelet, il sapiente predicatore che tenta una meditazione sulla vita e sulla morte, non ha risposte né certezze. Tuttavia intravede nel cuore profondo dell'uomo quel desiderio di eternità.
Gesù, dopo secoli, non parla di immortalità, ma di vita nuova, cieli nuovi, terre nuove. Ci invia un messaggio: «miei cari, vi lascio in un mondo stordito dal fascino dell'apparenza, in una cultura che conosce il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuno, ho sempre cercato di essere per voi uomo, padre, nonno, fratello, volevo amarvi tanto, a uno a uno, ce l'ho messa tutta. Vi ho tenuto nascosta una cosa che ora non posso più nascondervi: debbo proprio partire. Addio».

Commenti

Antonio ha detto…
Parole e idee che infondono serenità, ma non rendono meno difficile accettare la fine...

Post popolari in questo blog

Curzio Nitoglia, un cattivo maestro

di Andrea Virga Questo articolo, come quello su Don Gallo 1 , non avrebbe reale ragione d’essere. Anche qui, le gravi affermazioni dottrinali del sacerdote in questione non meriterebbero più d’uno sberleffo, vista la loro palese incompatibilità con la retta dottrina. E tuttavia, anche qui è il caso di un prete consacrato – e stavolta tuttora vivente – che attira proseliti, specie fra i giovani, grazie alle sue opinioni estremiste ed ereticali, con il risultato di diffondere in lungo e in largo i suoi errori. Per questo, ritengo che sia il caso di dedicare una mezz’oretta a mettere in guardia i meno provveduti, che magari preferiscono internet ad un buon padre spirituale, rispetto a questo personaggio: Don Curzio Nitoglia. Il paragone con Don Gallo, però, non riesca troppo offensivo al defunto sacerdote genovese, che aveva almeno il merito di essere molto attivo in ambito sociale e di non aver mai lasciato la Chiesa (cosa non troppo difficile, visto il permissivismo dei suoi super

Il noviziato Agesci: tempo e idea tra scoutismo e Chiesa

C’è un momento strano nel cammino scout Agesci ed è quello del noviziato: sì, il nome riprende proprio il linguaggio monastico; sì, l’ispirazione è proprio quella; sì, è un periodo di introduzione e studio.  Si tratta del primo momento nella branca rover e scolte, i più grandi nel nostro scoutismo: dura un anno. Di noviziato in Agesci si parla  –  e si sparla  –  in continuazione, non c’è un tema altrettanto trattato e maltrattato, anche nella prassi.È speciale e irrinunciabile e può essere una fonte di riflessione importante anche al di fuori dell’associazione. Cercherò ora di dare a questa riflessione un taglio ecclesiale, per plasmare un avvio di confronto su temi scoutisticamente ed ecclesialmente poco trattati. Il noviziato è un tempo e come tutti i tempi è prezioso. Lo è il nostro, figuriamoci quello dei ragazzi. Con un po’ di ironia, potremmo dire che l’importanza del tempo l’ha capita anche il Papa: in Evangelii Gaudium Francesco scrive che «il tempo è superiore allo

Lettera a frate Raimondo da Capua: l'esecuzione di un condannato a morte

È una lettera al frate che fu direttore spirituale di Caterina e che poi divenne suo seguace. Vi si racconta in modo appassionato e sconvolgente l’assistenza a un condannato a morte, Nicolò di Toldo,giustiziato a Siena per aver partecipato a un movimento di rivolta nel 1375 circa. Il condannato, travolto dall’entusiasmo mistico di Caterina, finisce con l’accettare con letizia la morte come momento di congiunzione – anzi, di nozze – con la divinità. Il consueto motivo devoto del sangue di Cristo si fonde qui con quello del sangue della decapitazione. Il sangue del giustiziato alla fine si riversa sul corpo della santa: nella fusione del sangue di Nicolò con quello di Caterina e con quello di Gesù si realizza l’unità mistica dell’uomo con Dio. Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce. A voi, dilettissimo e carissimo padre e figliulo mio caro in Cristo Gesù. Io Caterina, serva e schiava de' servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel pretioso sangue del Figliuolo di