Passa ai contenuti principali

Il Regno come vita in Cristo


di Vladimir Zelinskij dal sito www.dimensionesperanza.it

Il paese del Regno è escatologico, esso si trova al centro della nostra fede e nello stesso tempo sulla terra nuova e nei cieli nuovi. Ma ci sono i segni del Regno lasciati sulla terra vecchia.


Il Regno di Dio che si trova, è la parola chiave del messaggio di Gesù che Lui stesso chiamò «il vangelo del regno» (Mt 24, 14). Il paese del Regno è escatologico, esso si trova al centro della nostra fede e nello stesso tempo sulla terra nuova e nei cieli nuovi. Ma ci sono i segni del Regno lasciati sulla terra vecchia e che possiamo scoprire, tra l’altro, nella visione della natura umana, nell’amore, nell’azione dello Spirito Santo, nella bellezza del creato, nella comunione. Ma tutti questi segni esprimono la vita in Cristo e la vita in Cristo è proprio la Chiesa.

Il Regno è nell’uomo

«In quei giorni comparve Giovanni il Battista nel deserto della Giudea, dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”» (Mt. 3, 2). «Metanoite», letteralmente, cambiate la vostra mente, il vostro spirito e voi stessi. La metànoia significa trasformazione del nostro essere del vecchio Adamo con la penitenza, che purificando la natura umana, la cambia e la rivela. La metànoia è un atto ecclesiale che liturgicamente, spiritualmente ci prepara alla comunione in cui si realizza la trasmutazione dei peccatori nei cittadini del Regno.
«Convertitevi», vuol dire, liberatevi dai «movimenti perversi dell’anima», come San Massimo Confessore chiama le passioni umane «e tornate a voi stessi, appena concepiti e creati da Dio, quando abitavate ancora il giardino di Dio, da cui siete stati cacciati». La conversione, nella tradizione orientale, significa ritorno alla vera natura umana e al Regno che è vicino, perché è nascosto nell’uomo. Ma l’unica strada che porta al Regno porta attraverso quella scoperta dell’uomo autentico ma invisibile, che si chiama «il cuor puro», cioè per il restauro dell’icona dell’uomo libero e appena uscito dalle mani del Signore.

Il Regno è l’amore

Il discorso del Regno sulla terra parte inevitalbilmente dal paradosso del «già e non ancora». Il Regno è sempre accanto a noi, noi, invece, siamo più spesso lontani da noi stessi. Il Regno non attira l’attenzione, però, esso si è rivelato e la sua rivelazione continua e noi ne siamo consapevoli. La Buona Notizia venuta col Cristo sarebbe rimasta solo un sogno di un gruppetto di pochi discepoli se non fosse già presente e in qualche senso già manifestata nella realtà indescrivibile e misteriosa. La fede cristiana sarebbe sparita, se non fosse accesa non solo dalle parole di Gesù, ma anche con quella luce che illumina ogni essere umano che viene nel mondo. Proprio da questa luce riconosciamo le tracce calde del Regno vicino a noi, attorno a noi, dentro di noi.
Quando diciamo con san Giovanni che Dio è amore, intendiamo che Dio è presente anche nel nostro povero amore umano, che la presenza di Dio è «scritta nel nostro cuore» e grazie a questo miracolo della sua presenza possiamo partecipare anche alla «natura divina» (2 Pt 1, 4) e diventare i cittadini del Regno. Perciò la giustizia del Regno per noi è, prima di tutto, la nostra capacità di ricevere il dono di Dio e rispondere a questo dono. In qualsiasi creatura è nascosto il Regno che ci parla attraverso l’amore e ci interpella. L’amore di Dio fa la sua strada attraverso gli uomini che sono chiamati a prestare al Suo amore il proprio cuore, le mani, i muscoli. Il volto del Regno promesso è sempre un volto di amore divino che agisce negli uomini. «Che nessuno osi pretendere di essere misericordioso», dice sant’Agostino, «è Dio che attraverso lo Spirito Santo ha dato l’amore senza di cui nessuno può essere misericordioso. Perciò Dio ha scelto non chi fa il bene, ma Dio ha scelto i credenti per farli creatori del bene».
Dunque, amore come segno del Regno, ma l’amore stesso è il segno, il sigillo dello Spirito Santo.

Continua su www.dimensionesperanza.it

Commenti

Post popolari in questo blog

Curzio Nitoglia, un cattivo maestro

di Andrea Virga Questo articolo, come quello su Don Gallo 1 , non avrebbe reale ragione d’essere. Anche qui, le gravi affermazioni dottrinali del sacerdote in questione non meriterebbero più d’uno sberleffo, vista la loro palese incompatibilità con la retta dottrina. E tuttavia, anche qui è il caso di un prete consacrato – e stavolta tuttora vivente – che attira proseliti, specie fra i giovani, grazie alle sue opinioni estremiste ed ereticali, con il risultato di diffondere in lungo e in largo i suoi errori. Per questo, ritengo che sia il caso di dedicare una mezz’oretta a mettere in guardia i meno provveduti, che magari preferiscono internet ad un buon padre spirituale, rispetto a questo personaggio: Don Curzio Nitoglia. Il paragone con Don Gallo, però, non riesca troppo offensivo al defunto sacerdote genovese, che aveva almeno il merito di essere molto attivo in ambito sociale e di non aver mai lasciato la Chiesa (cosa non troppo difficile, visto il permissivismo dei suoi super

Il noviziato Agesci: tempo e idea tra scoutismo e Chiesa

C’è un momento strano nel cammino scout Agesci ed è quello del noviziato: sì, il nome riprende proprio il linguaggio monastico; sì, l’ispirazione è proprio quella; sì, è un periodo di introduzione e studio.  Si tratta del primo momento nella branca rover e scolte, i più grandi nel nostro scoutismo: dura un anno. Di noviziato in Agesci si parla  –  e si sparla  –  in continuazione, non c’è un tema altrettanto trattato e maltrattato, anche nella prassi.È speciale e irrinunciabile e può essere una fonte di riflessione importante anche al di fuori dell’associazione. Cercherò ora di dare a questa riflessione un taglio ecclesiale, per plasmare un avvio di confronto su temi scoutisticamente ed ecclesialmente poco trattati. Il noviziato è un tempo e come tutti i tempi è prezioso. Lo è il nostro, figuriamoci quello dei ragazzi. Con un po’ di ironia, potremmo dire che l’importanza del tempo l’ha capita anche il Papa: in Evangelii Gaudium Francesco scrive che «il tempo è superiore allo

Lettera a frate Raimondo da Capua: l'esecuzione di un condannato a morte

È una lettera al frate che fu direttore spirituale di Caterina e che poi divenne suo seguace. Vi si racconta in modo appassionato e sconvolgente l’assistenza a un condannato a morte, Nicolò di Toldo,giustiziato a Siena per aver partecipato a un movimento di rivolta nel 1375 circa. Il condannato, travolto dall’entusiasmo mistico di Caterina, finisce con l’accettare con letizia la morte come momento di congiunzione – anzi, di nozze – con la divinità. Il consueto motivo devoto del sangue di Cristo si fonde qui con quello del sangue della decapitazione. Il sangue del giustiziato alla fine si riversa sul corpo della santa: nella fusione del sangue di Nicolò con quello di Caterina e con quello di Gesù si realizza l’unità mistica dell’uomo con Dio. Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce. A voi, dilettissimo e carissimo padre e figliulo mio caro in Cristo Gesù. Io Caterina, serva e schiava de' servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel pretioso sangue del Figliuolo di