Passa ai contenuti principali

Se uno esce dalla Chiesa


Nel 2011, nella Repubblica federale di Germania, hanno formalmente lasciato la Chiesa cattolica 126.000 persone (su un totale di 24,5 milioni di membri). Lo hanno fatto negli uffici della pretura o dell’anagrafe, quindi di fronte a un’autorità statale, che poi ha normalmente informato la rispettiva comunità parrocchiale. Le modalità dell’uscita dalla Chiesa sono regolate da leggi statali a livello dei Land della Repubblica federale.
Questo dipende dallo specifico quadro giuridico delle relazioni fra lo stato e la Chiesa esistente in Germania dal tempo della Repubblica di Weimar.
Secondo la Costituzione tedesca (art. 140 della Legge fondamentale), le Chiese sono «enti di diritto pubblico». In quanto tali sono autorizzate a imporre tasse. Lo fanno sotto forma di «tassa per la Chiesa», che viene calcolata sulla base dell’imposta sul reddito e ammonta all’8 o 9% della stessa. La riscossione della tassa per la Chiesa viene effettuata in genere dagli uffici delle imposte statali; per questo servizio, lo stato riceve dalla Chiesa il 3% del gettito fiscale.

Nel 2011, la Chiesa cattolica in Germania ha incassato attraverso questa tassa circa 5 miliardi di euro, la Chiesa evangelica un po’ meno.
Per entrambe le Chiese la tassa per la Chiesa è di gran lunga la fonte di reddito più importante. Comunque oltre la metà dei membri delle Chiese non versa questa tassa, perché chi non ha un lavoro retribuito o è pensionato è esentato dalla stessa. Diversamente, il dovere di versare questa tassa cessa con l’uscita dalla Chiesa.
Nel Decreto generale della Conferenza episcopale tedesca sull’uscita dalla Chiesa, pubblicato il 20 settembre di quest’anno, si legge: «La dichiarazione di uscita dalla Chiesa davanti all’autorità civile competente costituisce come atto pubblico un abbandono cosciente e deliberato della Chiesa ed è una grave mancanza contro la comunione ecclesiale» (parte I; Regno-doc. 17,2012,567). Questo decreto, concordato con la Santa Sede, cerca di mettere la parola fine a una discussione sull’uscita dalla Chiesa e sulla tassa per la Chiesa che coinvolge da anni la Chiesa cattolica in Germania.
Molto scalpore fece al riguardo il caso di Hartmut Zapp, allora docente di Diritto canonico all’Università di Freiburg. Egli aveva presentato la sua dichiarazione di uscita
dalla Chiesa cattolica presso l’anagrafe del suo luogo di nascita, con la clausola di voler lasciare solo la Chiesa come «ente di diritto pubblico», non come comunità di fede.
L’arcidiocesi di Freiburg era ricorsa in tribunale. In prima istanza, il tribunale aveva dato ragione a Zapp, ma non in seconda istanza e ora neppure in terza istanza (il supremo tribunale amministrativo tedesco). Nella sua sentenza, emessa alla fine di settembre a Leipzig, il Tribunale amministrativo federale è giunto alla conclusione che la dichiarazione di uscita dalla Chiesa munita di una clausola, presentata da Zapp, era certamente ammissibile, ma in realtà egli era uscito dalla Chiesa in senso globale. Perciò per la giustizia civile in Germania non esiste un’uscita dalla Chiesa graduale o limitata. In questo la Conferenza episcopale tedesca ha potuto vedere una conferma della posizione espressa nel suo Decreto generale, pubblicato poco prima della sentenza.
Ma oltre al «caso Zapp», appartiene alla preistoria di questo decreto sull’uscita dalla Chiesa anche la lettera circolare inviata nel 2006 a tutte le conferenze episcopali dal Pontificio consiglio per i testi legislativi, il cui presidente allora era ancora il cardinale spagnolo Julián Herranz (Regnodoc. 5,2007,129). Tale lettera circolare descrive i criteri per un atto formale di abbandono della Chiesa cattolica. Il diritto canonico non conosce l’espressione «uscita dalla Chiesa»; perciò, nell’indice delle materie della traduzione ufficiale tedesca del Codice di diritto canonico (CIC) per la voce «Kirchenaustritt» (uscita dalla Chiesa) si rinvia alla voce «Glaubensabfall» (apostasia). Per l’actus defectionis il Pontificio consiglio
per i testi legislativi richiedeva sia la decisione interiore sia la sua manifestazione esteriore, mediante una dichiarazione scritta presentata all’ordinario o parroco competente.
La Conferenza episcopale tedesca reagì rapidamente alla lettera circolare romana del 2006 con una dichiarazione nella quale si affermava che la chiarificazione del Pontificio consiglio per i testi legislativi non riguardava la normativa statale per l’uscita dalla Chiesa esistente nella tradizione giuridica tedesca. L’uscita dalla Chiesa secondo il diritto statale è in ogni caso un atto formale di abbandono della Chiesa.

La scomunica non è automatica
Negli ultimi anni si sono notoriamente intrattenuti molti dialoghi fra la Conferenza episcopale tedesca e i dicasteri competenti della curia romana per giungere a una chiarificazione consensuale delle diverse opinioni in materia di uscita dalla Chiesa. Già nella passata primavera c’erano chiari segni della possibilità di raggiungere un accordo con Roma in tempi brevi.
Ora il frutto di quelle trattative è la pubblicazione del Decreto generale della Conferenza episcopale tedesca, con annessa una Lettera pastorale, che in avvenire riceverà ogni persona uscita dalla Chiesa cattolica «immediatamente dopo aver preso conoscenza della sua dichiarazione»
Nella sua valutazione dell’uscita dalla Chiesa il Decreto generale si richiama al can. 209, § 1 del CIC («I fedeli sono tenuti all’obbligo di conservare sempre, anche nel loro modo di
agire, la comunione con la Chiesa»),nonché al can. 222, § 1 («I fedeli sono tenuti all’obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa, affinché essa possa disporre di quanto è necessario per il culto divino, per le opere di apostolato e di carità e per l’onesto sostentamento dei ministri»).Si afferma che «la dichiarazione di uscita dalla Chiesa preoccupa quest’ultima e la spinge a seguire con sollecitudine pastorale la persona che ha dichiarato la propria uscita» (parte II).
Vengono elencati gli effetti giuridici di un’uscita dalla Chiesa, dall'esclusione dalla partecipazione ai sacramenti della penitenza, dell’eucaristia, della confermazione e dell’unzione degli infermi, alla perdita del diritto di voto attivo e passivo nella Chiesa, al rifiuto delle esequie cattoliche (se «non abbia manifestato, prima della morte, un qualche segno di pentimento»: parte II, n. 3).
Particolarmente importante è l’affermazione da cui si evince che l’uscita dalla Chiesa, in base al diritto tedesco, non può essere automaticamente equiparata a un «atto scismatico, eretico o apostatico» (parte II, n. 6), a motivo del quale la persona, in base al can. 1364, § 1 del CIC, si addosserebbe la pena della scomunica. Bisogna invece stabilire caso per caso, con un colloquio al quale l’autorità ecclesiastica avrà invitato la persona uscita dalla Chiesa, se esista effettivamente un tale «atto scismatico, eretico o apostatico». Solo in questo caso, «l’ordinario avrà cura di prendere le misure corrispondenti»
(ivi).
La tassa per la Chiesa,
un dovere dei cristiani
La Lettera, che in futuro dovrà essere inviata a tutte le persone uscite dalla Chiesa, contiene in gran parte formulazioni tratte dal Decreto generale, specialmente riguardo alla lista degli effetti giuridici dell’uscita dalla Chiesa. Essa richiede un dialogo con il parroco o un altro pastore cattolico competente sui motivi che hanno indotto la persona a uscire dalla Chiesa e ricorda che il pastore ha il dovere di chiedere, e valutare, le ragioni che hanno indotto la persona a uscire dalla Chiesa. Inoltre, la lettera sottolinea che «i cristiani cattolici godono di tutti i diritti fondamentali per un’attiva partecipazione alla vita della Chiesa, ma questi diritti sono inseparabilmente collegati con il compimento dei doveri fondamentali nella comunità ecclesiale». Ma, in base alla comprensione dei vescovi, pur non essendo qui espressamente ricordato, in Germania uno di questi doveri fondamentali delle persone tenute a versare l’imposta sul reddito è il pagamento della tassa per la Chiesa.
Come risulta dal Decreto generale e dalla Lettera, i vescovi tedeschi si preoccupano di collegare il più strettamente possibile l’uscita dalla Chiesa compiuta davanti a un ufficio statale (con la conseguente cancellazione del dovere di versare la tassa per la Chiesa) con l’auto-comprensione della Chiesa come comunità di fede giuridicamente ordinata, indebolendo così le critiche degli avversari. Bisogna evitare di dare l’impressione che per la Chiesa cattolica in Germania si tratti soprattutto di incassare il più possibile attraverso quella tassa, senza preoccuparsi per così dire del legame vissuto dei suoi membri con la fede e con la Chiesa.
Comunque la discussione sull’uscita dalla Chiesa e sulla tassa per la Chiesa continuerà, come ha già dimostrato un articolo del gesuita p. Hans Langendörfer, segretario della Conferenza episcopale tedesca (nel supplemento Christ und Welt del settimanale Die Zeit, 11.10.2012). Nell’articolo, Langendörfer sottolinea che la persona è cattolica, e tale resta come battezzata cattolica, anche dopo aver dichiarato la propria uscita dalla Chiesa, «comunque con minori diritti». Inoltre, a suo avviso, si può essere un buon cattolico o anche un cattolico meno attivo, senza versare la tassa per la Chiesa. Ma, anche in difesa del Decreto generale dei vescovi, il segretario della Conferenza episcopale tedesca sottolinea che «una separazione formale ed espressa davanti all’autorità competente deve avere, se si vuole prendere sul serio la persona, un effetto corrispondente: quella persona non è più un membro attivo».
Secondo Langendörfer, nella loro critica del Decreto generale molti hanno espresso valutazioni sorprendentemente materialistiche e decisamente anguste.
Una questione non decisiva
La questione della tassa per laChiesa non scuoterà in tempi brevi la Chiesa cattolica e neppure la Chiesa evangelica. Per questo non esistono neppure ragioni cogenti. La tassa per la Chiesa, nonostante la sua riscossione da parte degli uffici delle finanze statali, è un contributo versato dai membri della Chiesa, calcolato in base alla capacità finanziaria dei singoli membri (chi versa un’alta tassa sul reddito versa anche un’alta tassa per la Chiesa) e garantisce in qualche modo in notevole misura alle Chiese redditi affidabili. Non esiste alternativa al riguardo, finché la Chiesa vuole mantenere il suo attuale impegno nei diversi campi (cultura, formazione, attività sociali, responsabilità nei riguardi della Chiesa universale) e retribuire il suo personale (ministri ordinati e collaboratori laici a tempo pieno) nel modo in cui ha fatto finora. Del resto, nella maggior parte dei casi, la tassa per la Chiesa non è il motivo decisivo per l’uscita dalla Chiesa in Germania. E finora nulla indica che la tassa per la Chiesa sia contestata da un alto numero di fedeli.
Resta il modo in cui la Chiesa affronta il tema dell’uscita da essa. Al riguardo, occorrerà anzitutto attendere le esperienze concrete che le diocesi e le loro parrocchie faranno con la lettera che ora deve essere inviata alle persone che sono uscite. Varie dichiarazioni delle ultime settimane tradiscono un certo disagio riguardo al contenuto del testo prescritto dalla Conferenza episcopale tedesca. Anche qui dipenderà dall’applicazione di un atteggiamento sensibile da parte dei pastori nella relazione con le persone che vogliono uscire, o sono uscite, dalla Chiesa, ognuna delle quali ha fatto un’esperienza specifica con la Chiesa e non da ultimo con i suoi rappresentanti ufficiali. Bisognerà anche riflettere se continuare l’attuale prassi della presentazione della dichiarazione di uscita dalla Chiesa agli uffici dello stato o se non sia più opportuno prevedere la presentazione della dichiarazione di uscita agli uffici della Chiesa. Già ora, sulla base della Lettera dei vescovi, si dovrà tenere maggiormente conto della dimensione ecclesiale-pastorale di un’uscita dalla Chiesa.
Attualmente la Chiesa cattolica in Germania deve affrontare molti problemi: calo del legame con la Chiesa; massiccia perdita della tradizione; ristrutturazioni in campo pastorale; mancanza di una cultura del dialogo al suo interno. Chiesa. Su questo sfondo, le questioni relative alle modalità dell’uscita dalla Chiesa e alla tassa per la Chiesa come la fonte di reddito più importante sono un aspetto del quadro generale. Certamente non quello più importante o decisivo.
Ulrich Ruh

(Regno-att. n.18, 2012, p.581 )

Commenti

Post popolari in questo blog

Curzio Nitoglia, un cattivo maestro

di Andrea Virga Questo articolo, come quello su Don Gallo 1 , non avrebbe reale ragione d’essere. Anche qui, le gravi affermazioni dottrinali del sacerdote in questione non meriterebbero più d’uno sberleffo, vista la loro palese incompatibilità con la retta dottrina. E tuttavia, anche qui è il caso di un prete consacrato – e stavolta tuttora vivente – che attira proseliti, specie fra i giovani, grazie alle sue opinioni estremiste ed ereticali, con il risultato di diffondere in lungo e in largo i suoi errori. Per questo, ritengo che sia il caso di dedicare una mezz’oretta a mettere in guardia i meno provveduti, che magari preferiscono internet ad un buon padre spirituale, rispetto a questo personaggio: Don Curzio Nitoglia. Il paragone con Don Gallo, però, non riesca troppo offensivo al defunto sacerdote genovese, che aveva almeno il merito di essere molto attivo in ambito sociale e di non aver mai lasciato la Chiesa (cosa non troppo difficile, visto il permissivismo dei suoi super

Il noviziato Agesci: tempo e idea tra scoutismo e Chiesa

C’è un momento strano nel cammino scout Agesci ed è quello del noviziato: sì, il nome riprende proprio il linguaggio monastico; sì, l’ispirazione è proprio quella; sì, è un periodo di introduzione e studio.  Si tratta del primo momento nella branca rover e scolte, i più grandi nel nostro scoutismo: dura un anno. Di noviziato in Agesci si parla  –  e si sparla  –  in continuazione, non c’è un tema altrettanto trattato e maltrattato, anche nella prassi.È speciale e irrinunciabile e può essere una fonte di riflessione importante anche al di fuori dell’associazione. Cercherò ora di dare a questa riflessione un taglio ecclesiale, per plasmare un avvio di confronto su temi scoutisticamente ed ecclesialmente poco trattati. Il noviziato è un tempo e come tutti i tempi è prezioso. Lo è il nostro, figuriamoci quello dei ragazzi. Con un po’ di ironia, potremmo dire che l’importanza del tempo l’ha capita anche il Papa: in Evangelii Gaudium Francesco scrive che «il tempo è superiore allo

Lettera a frate Raimondo da Capua: l'esecuzione di un condannato a morte

È una lettera al frate che fu direttore spirituale di Caterina e che poi divenne suo seguace. Vi si racconta in modo appassionato e sconvolgente l’assistenza a un condannato a morte, Nicolò di Toldo,giustiziato a Siena per aver partecipato a un movimento di rivolta nel 1375 circa. Il condannato, travolto dall’entusiasmo mistico di Caterina, finisce con l’accettare con letizia la morte come momento di congiunzione – anzi, di nozze – con la divinità. Il consueto motivo devoto del sangue di Cristo si fonde qui con quello del sangue della decapitazione. Il sangue del giustiziato alla fine si riversa sul corpo della santa: nella fusione del sangue di Nicolò con quello di Caterina e con quello di Gesù si realizza l’unità mistica dell’uomo con Dio. Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce. A voi, dilettissimo e carissimo padre e figliulo mio caro in Cristo Gesù. Io Caterina, serva e schiava de' servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel pretioso sangue del Figliuolo di