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Non spegnere lo Spirito



di Niccolò Bonetti
Negli ultimi anni si è sempre più acutizzato la drammatica lacerazione all’interno della Chiesa  fra coloro che si definiscono “progressisti”e coloro che invece si definiscono “tradizionalisti”.

La caratteristica principale dei primi è il sistematico inginocchiamento nel confronto del mondo per usare un espressione di Maritain,praticare insomma un cristianesimo svuotato dal punto di vista dogmatico ed escatologico,ridotto in molti casi a puro attivismo sociale o politico (si pensi solo a figure del tipo di Don Gallo la cui attività pastorale è ormai fusa con quella politica),un cristianesimo quasi senza dogmi totalmente schiacciato nell’immanenza e nella contingenza.
Caratteristico di questi cristiani è seguire un’etica totalmente situazionale, svincolata da norme oggettive e basata sul primato “creativo” della coscienza.
E’ la loro , un’etica “sperimentale” ,un’etica fondata su un amore svincolato dalla verità,un amore puramente orizzontale e terreno,non certo l'ordo amoris di agostiniana memoria.
Sant’Agostino rabbrividirà a sapere dell’uso distorto della sua celebre frase “ama e fac quod vis” che non ha nulla da spartire con l’uso melenso che si è fatto della stessa.
L’amore se è per la creatura e allontana dal creature infatti può essere cattivo:" Ogni amore o ascende o discende; dipende dal desiderio: se è buono ci innalziamo a Dio, se è cattivo precipitiamo nell'abisso..." (En. in ps. 122, 1)
Tutti amano ma quello che conta è ciò che si ama,cioè se il proprio amore è retto.
L’amore cristiano non è un amore languido,umanitario,terreno fondato sui buoni sentimenti ma è un amore eroico,incondizionato,fondato sul dono della Grazia e che innalza verso Dio.
Ma questa dimensione verticale non può che perdersi nella melassa di amore "debole" e puramente terreno di questi cristiani.
Altra caratteristica di costoro è oscillare fra approcci da "teologia politica" in campo sociale al più totale laicismo quando la Chiesa ricorda i principi della morale famigliare o della bioetica.
Clericali quando si parla di giustizia sociale,laicisti in campo bioetico.
Avendo come unico principio formale della moralità questo “amore” vuoto e puramente terreno, essi cadono in un assoluto relatismo morale.
Non solo nei riguardi dell' etica sessuale(della quale spesso ignorano la stessa esistenza ) ma non ammettendo nessun principio morale oltre questo amore concepito solo in maniera orizzontale ,riescono a giustificare comportamenti che sono lontanissimi dalla morale cattolica su un numero illimitato di temi.
In certi casi però abbandonano repentinamente il loro relativismo e cadono in estremi di dogmatismo se le questioni sono politiche-sociali (si pensi alla convinzione diffusa che il cristiano non può mai far guerre o difendersi uccidendo l’aggressore anche se questi atti sono dettati dalla legittima difesa o a coloro che legano indissolubilmente dottrina sociale cattolica e statalismo).
Altra caratteristica di costoro è quella di essere iperstoricisti nel presente (spingendo la Chiesa a seguire tutte le più stravanti mode) e ipermoralistici nel passato(i secoli prima del Concilio come secoli di orrore o oscurità su cui cala implacabile moralismo dei nostri amici).
Costoro sono ossessionati dal tema delle riforme come se bastasse una perfetta organizzazione per generare buoni cristiani e non fosse questo un compito dello Spirito Santo quello di riformare la Chiesa.
Quando poi vedono che la Chiesa non si riforma come loro vorrebbero,cercano di creare una chiesa nella chiesa o addirittura smettono di praticare.
Com’è stato possibile che il Cristianesimo da esperienza liberante e radicale diventasse questo ammasso dolciastro e sociologico?
Forse i padri conciliari peccarono di ottimismo quando ritennero possibile una chiesa in cui i laici potessero avere un ruolo partecipato,attivo ,di stimolo e di critica?
Della critica si è abusato ,non si è usata la maggiore libertà per creare nuove e coraggiose sintesi ma spesso si è ceduto completamente alle mode del tempo.
Ma forse il laicato cattolico è bel lontano da essere veramente “adulto” visti i frutti degenerati di taluni tentativi di “maturazione” che si è trasformata presto in “ammarcimento” .
Ma che alcune parti del laicato manchino di maturità si vede chiaramente osservando il fenomeno tradizionalista.
Il tradizionalismo,a mio parere,trova sulla ultima analisi in due parafilie(sia pure sublimate o almeno si spera),il feticismo e il masochismo.
I tradizionalisti sono feticisti ,non nel senso che amino le calze a rete ,ma nel senso che feticizzano,idolatrano,sacralizzano una manifestazione storica e contingente dello spirito cristiano e la innalzano a regola di ortodossia.
Si pensi alla fantomatica “messa di sempre” generata e non creata prima di tutti i secoli.
Si pensi all’ossessione per gli abiti liturgici (non è questo feticismo?).
I tradizionalisti scambiano il cattolicesimo tridentino per il cattolicesimo tout court.
Fanno violenza alla storia e alla realtà per ricondurre la meravigliosa pluralità del cattolicesimo ai loro schemi manichei.
Vogliono fermare il soffio dello Spirito ,vogliono imprigionarlo in strutture morte ma lo Spirito spazzerà via tutti i loro tentativi di rinchiuderlo nelle loro gabbie.
Il passato che loro sognano come futuro per la Chiesa è un trionfo di masochismo:essi vogliono la minorità per il popolo cristiano ,vogliono che il popolo di Dio sia un gregge obbediente e sottomesso.
Tornare insomma alla Chiesa come società perfetta e gerarchica.
Per essi il laico è colui che non ha alcun potere nella Chiesa,colui che è sottomesso alla gerarchia come disse Bellarmino.
Essi propugnano insomma l’alienazione del laico e dimenticano che al momento del battesimo il cristiano diventa re,sacerdote e profeta.
Essi dimenticano che il Verbo si è incarnato e che quindi lo stile cristiano è uno stile di incarnazione perché vivono un cristianesimo etereo,sterile,intimistico,fuori dalla vita,dalla storia,spiritualistico.
Quando poi tentano di tradurre nella storia e nella vita i loro ideale di reazione diventano violenti perché si credono unici possessori della “retta dottrina”.
Inconsciamente o consciamente vedono la storia come il trionfo dell’Anticristo perché riescono a vedere solo il male e la corruzione in essa e dimenticano che è Dio che guida la storia verso il bene.
Dimenticano che Dio offre la Sua Grazia a tutti gli uomini ,non solo agli amanti della comunione in ginocchio.
Ma ,in molti casi a pensarci bene,coloro a cui si ispirano non sono forse coloro i cui padri perseguitarono?
Il loro modello in teologia non è forse il teologo più scandaloso del XIII secolo le cui tesi furono condannate dai vescovi di Parigi e Oxford cioè Tommaso?
La ricerca del sacro fra riti superati,vecchi abiti e lingue morte li acceca,la ricerca di un impossibile purezza fra le mura di una chiesa dà loro alla testa.
Ma il cristiano è colui che si immerge nel mondo,è colui che non ha paura a sporcarsi! Come ci ricorda Maritain:
"La paura l'imbrattarsi entrando nel contesto della storia è una paura farisaica. Non si può toccare la carne dell'essere umano senza imbrattarsi le dita. La Chiesa cattolica non ha mai avuto paura di cessare di essere pura, toccando le nostre impurità. Se invece d'essere nel cuore, la purezza sale alla testa crea settari ed eretici. Alcuni sembrano pensare che por mano al reale, a questo universo concreto delle cose umane ove il peccato esiste e circola, è contrarre peccato come se il peccato si contraesse dal di fuori e non dal di dentro"
Ma Dio non è solo nelle quattro pareti di una chiesa:tutta la creazione è un sacramento.
Le realtà terrene hanno loro  sacramentalità!
La loro è una fede mediata dai feticci,dalle mediazioni,dalle tradizioni.
Ma Cristo non è colui che preserva le tradizioni umane,colui che benedice lo status quo ma è colui che è segno di scandalo,follia,paradosso.
Cristo spezza e distrugge gli idoli che noi abbiamo creato per imprigionare il divino nei nostri schemi.
Gesù non ha detto “Io sono la tradizione” bensi’ “Io sono la Verità” ,una verità che sconvolge le nostre certezze,crea smarrimento,perplessità.
Il cristianesimo è un’avventura tragica,disperata,assurda,folle ma piena di speranza
E’ è un’esperienza viva,dinamica,inquieta e creativa che non può essere impacchettata nel vetus ordo o in qualunque altra versione liofilizzata della fede cattolica.
I tradizionalisti vogliono “sterilizzare” il cristianesimo renderlo qualcosa di statico,sicura,tranquillo,una religione in cui la propria coscienza è data in appalto al Magistero.
Vogliono insomma eliminare il rischio dall'esperienza di fede.
Dimenticano che il cristianesimo non è qualcosa di dato ma un’esperienza “in progress”,che lo Spirito Santo non ha ancora portato la Chiesa a conoscere la verità tutta intera,che tante manifestazioni e aspetti dello spirito cristiano che noi riteniamo importanti agli occhi dei cristiani del futuro saranno considerati accidenti storici,folklore.
Il tradizionalista sembra dimenticare che ogni tradizione se vuole essere veramente tale non può che essere creativa e rivoluzionaria per essere veramente fedele a stessa.
La tradizione non è quindi una realtà archeologico da conservare feticisticamente ma una realtà che sprizza vita da ogni sua parte.
Non possiamo eliminare l’imprevedibilità dal cristianesimo perché la nostra fede si è sempre espressa per mezzo di una lunga serie di rotture e fatti imprevedibili umanamente ma non per lo Spirito e per coloro che erano stati in Suo ascolto(si pensi alla predicazione ai pagani in età apostolica).
Non spegnete lo Spirito dice l’apostolo!
Siamo appena all’aurora della storia cristiana!
Insomma io credo che il compito dei cristiani non può essere quello né di dissolversi nella storia seguendo tutte le mode della propria epoca né quello di trincerarsi in riti fintamente “di sempre” ma in realtà profondamente storici ma bensi’ quello di ascoltare ,profondamente inseriti in un mondo che tuttavia rimane altro rispetto a loro,il soffio imprevedibile dello Spirito che li guida verso nuove e insperate mete.

                                                                                                                                       (Niccolò Bonetti)


Commenti

Lightswarrior ha detto…
Caro Niccolò, ho motivo di condividere solo il primo 50% dell'articolo: l'analisi che, invece, fai dei "tradizionalisti" è a mio avviso errata (parlo per il caso generale, ovviamente non escludo che in certi casi possano esistere macchiette come quelle da te descritte).

Li accusi innanzitutto di feticismo, in particolare riguardo alle vesti liturgiche: perché? Una veste liturgica deve essere prima di tutto degna dell'evento che va a servire: quando celebra la Messa il sacerdote non è più Don Pinco Pallino, ma Gesù Cristo; dovrebbe conciarsi indegnamente forse? Girando per le sacrestie troverai casule che assomigliano a delle tovaglie, tanto sono scialbe e prive di qualsiasi ornamento o decoro (magari una croce ci avessero cucito!); discorso estendibile anche a tutto il resto dell’apparato liturgico (vasi sacri, tovaglie di altare, ecc…). Che poi certi oggetti siano oggi sentiti come parte della storia e non più attuali (come le pianete), quello lo sottoscrivo, ma avrei più da montare in collera con il sacerdote che volesse celebrare Messa con una “sciarpa disadorna” gettata sulle spalle che non con quel ministro di Dio che si presentasse degnamente per la sua funzione.

Altro punto che mi vede discorde è la cosiddetta “alienazione del laicato”, che collegherei con la presunta volontà di “ingabbiare lo Spirito”. Faccio semplicemente notare che, se così fosse, non si potrebbe più parlare di cattolici ma di eretici, in quanto il Concilio Vaticano II è stato molto chiaro a tal proposito: difatti sono i membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X ad essere fuori della Chiesa, non i membri della Fraternità Sacerdotale San Pietro o quelli dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote. Da questo punto di vista, poi, siamo messi molto peggio noi cattolici “normali” (si passi l’espressione, visto che “moderni” ha come visto sopra significato negativo): di contro a parrocchie ove il laicato è presente e collabora attivamente e fruttuosamente con il parroco, vi sono realtà di vera e propria desolazione dove la partecipazione alla Messa magari è alta ma poi per il resto della settimana pare di essere nel deserto dei Tartari. Curiosamente, ho notato che i preti che fanno finire la parrocchia nel secondo modo sono solitamente appartenenti al ramo “adulto”…

Altro passo che non mi torna è l’eliminare il rischio della fede: che intendi? Non direi proprio che fino al Concilio Vaticano II le cose andassero tutte a gonfie vele per la fede del mondo.

Poco mi convincono, infine, gli appelli quasi da pastore protestante all’inquietudine e allo smarrimento: un buon pastore non si mette di certo a menare bordate alle pecore per il puro gusto di rendere loro il pascolo più vivace! Anzi: proprio lui rappresenta il punto fermo, la roccia (sic!) cui aggrapparsi se si rischia di deviare; ricordo che la posta in gioco è la vita o la dannazione eterna, non fichi e carabattole, affidarsi a chi ne sa di più rispetto a noi non è servilismo supino ma atto di modestia ed intelligenza.

Per chiudere, direi giustappunto di passare la parola a qualcuno che poco ma sicuro ne sa più di noi sul tema: posto il oink al discorso intero, vale la pena leggerlo tutto.

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2010/may/documents/hf_ben-xvi_spe_20100512_incontro-cultura_it.html
Nipoti di Maritain ha detto…
il mio tono era volutamente ironico e paradossale..mi sembrava abbastanza evidente
(come anche con i progressisti)

Sull'inquietudine come carateristica dell'essere cristiani non si tratta di andarle a cercare ma di accettare il duro cammino che aspetta ogni cristiano,di pensa,precarietà,nostalgia:

"Desiderium sinus cordis:"E' il desiderio che rende il cuore profondo".
E' la fine di un'ideale classico di perfezione ,che si era consolidato in un passato lontano passato: Agostino non avrebbe mai conseguito l'assorta tranquillità dei superuomini che ancora ci fissano da alcuni mosaici delle chiese cristiane e dalle statue di saggi pagani.
Se essere "romantico" significa essere un uomo lucidamente consapevole di essere prigioniero di un'esistenza che gli nega la pienezza da lui bramata,se significa sentire che l'uomo è limitato dalla sua tensione verso qualcos'altro,dalla sua capacità di fede,speranza ,di desiderio,se significa considerarsi un viandante alla ricerca di un paese che è sempre remoto ,ma che è reso sempre presente dalla qualità dell'amore che geme ,allora Agostino è diventato impercettibilmente un romantico.
Le Confessioni ,che scriverà poco dopo ,quando era vescovo cattolico di Ippona,costituiranno un'affermazione imponente di questo stato d'animo,fra i più inconsueti:
"Li espellerò, fuori, a soffiare nella polvere, a sollevare la terra nei loro occhi ; e mi ridurrò nella mia stanza segreta , ove cantarti canzoni d'amore fra i gemiti, gli inenarrabili gemiti che durante il mio pellegrinaggio suscita il ricordo di Gerusalemme nel cuore proteso in alto verso di lei, Gerusalemme la mia patria, Gerusalemme la mia madre..."
Agostino d'Ippona,Brown
Lightswarrior ha detto…
Ok, grazie per la risposta: conosco poco Sant'Agostino, lo confesso (!). Il passo che hai citato mi riporta alla mente una poesia di San Giovanni della Croce, che si trova a mo' di introduzione alla "Salita verso il monte Carmelo":


1. In una notte oscura,
con ansie, dal mio amor tutta infiammata,
oh, sorte fortunata!,
uscii, né fui notata,
stando la mia casa al sonno abbandonata.
2. Al buio e più sicura,
per la segreta scala, travestita,
oh, sorte fortunata!,
al buio e ben celata,
stando la mia casa al sonno abbandonata.
3. Nella gioiosa notte,
in segreto, senza esser veduta,
senza veder cosa,
né altra luce o guida avea
fuor quella che in cuor mi ardea.
4. E questa mi guidava,
più sicura del sole a mezzogiorno,
là dove mi aspettava
chi ben io conoscea,
in un luogo ove nessuno si vedea.
5. Notte che mi guidasti,
oh, notte più dell’alba compiacente!
Oh, notte che riunisti
l’Amato con l’amata,
amata nell’Amato trasformata!
6. Sul mio petto fiorito,
che intatto sol per lui tenea serbato,
là si posò addormentato
ed io lo accarezzavo,
e la chioma dei cedri ei ventilava.
7. La brezza d’alte cime,
allor che i suoi capelli discioglievo,
con la sua mano leggera
il collo mio feriva
e tutti i sensi mie in estasi rapiva.
8. Là giacqui, mi dimenticai,
il volto sull’Amato reclinai,
tutto finì e posai,
lasciando ogni pensier
tra i gigli perdersi obliato.


Anche qui a mio avviso vengono espressi i medesimi sentimenti che traspaiono dalla pagina di Sant'Agostino: "il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (Conf. 1,1). Duro però è il percorso per giungervi,e -come avrebbe detto Leopardi- per poco il cor non si spaura: come hai giustamente sottolineato, la Grazia riveste un ruolo centrale e determinante.

Preghiamo l'uno per l'altro, è la cosa migliore da fare.



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